La cappella Sansevero
Dipinti

  • dipinto Pietà

    Pietà

    Ignoto, seconda metà del XVI sec.

    Non ci sono elementi per attribuire e datare questo dipinto raffigurante la Pietà. L’autore fu probabilmente un manierista napoletano, che lo eseguì prima del 1590: circa a questa data risale, secondo il suggestivo racconto dello storico d’Engenio Caracciolo, il primo miracolo operato dalla sacra immagine. L’ovale è incorniciato da una bella raggiera di angeli in stucco, realizzata da Paolo Persico nel 1769.

    Molto più che per la qualità artistica, la Pietà è importante per il ruolo avuto nelle vicende originarie del tempio dei di Sangro: fu intorno a questo dipinto, infatti, che alla fine del XVI sec. il duca di Torremaggiore Giovan Francesco avrebbe edificato un primo sacello, dal cui ampliamento sarebbe sorta Santa Maria della Pietà, altro nome della Cappella Sansevero. Per tutto il ’600 il quadro dovette essere nel luogo ove è oggi la Deposizione, fu Raimondo di Sangro a spostarlo in alto sull’Altare e a inserirlo nella raggiera del Persico.

  • Ritratto Raimondo di Sangro

    Ritratto di Raimondo di Sangro

    Carlo Amalfi, 1759 ca (?)

    Posto sulla Tomba del settimo principe di Sansevero, il Ritratto di Raimondo di Sangro è collocato in simmetria con quello di Vincenzo di Sangro sull’ingresso laterale. Il pennello è di Carlo Amalfi, ma dubbi persistono sulla datazione del dipinto: il 1759, anno in cui fu realizzata la lapide che il quadro sormonta, sembra una data possibile, ma non è affatto da escludere una realizzazione più tarda.

    Rispetto all’effigie di Vincenzo, sempre dell’Amalfi, quella di Raimondo denota maggior realismo e un più attento studio dei caratteri fisionomici e psicologici da parte dell’artista. Come sottolineato dalla storica dell’arte Rosanna Cioffi, il soggetto è privo degli attributi alludenti alla sua nobiltà, al suo valore militare e alla sua attività scientifico-letteraria (attributi scolpiti in marmo sulla sua Tomba); il principe, in età avanzata, sembra fissare lo spettatore con sguardo fiero, protetto da una semplice corazza.

    Il Ritratto di Raimondo di Sangro è in cattivo stato di conservazione, pur essendo stato eseguito dalla medesima mano di quello raffigurante Vincenzo, e con la medesima tecnica, ovvero l’olio su rame. Questa circostanza ha dato fiato alla fantasia popolare, secondo cui l’immagine del “principe maledetto” sarebbe destinata a una sorta di damnatio memoriae. In realtà, è probabile che il dipinto sia particolarmente rovinato a causa della sua collocazione: l’ambiente in cui si trova, infatti, è sormontato da una cupoletta a vetri che nei secoli passati dovette subire molti danni, lasciando il quadro esposto all’ingiuria degli agenti atmosferici.

    Prima di questo ovale, Amalfi aveva eseguito almeno un altro ritratto del di Sangro, da cui Ferdinando Vacca trasse una nota incisione settecentesca, fortunatamente sopravvissuta: Sansevero appare più giovane, con la fascia e la croce dell’Ordine di San Gennaro, di cui era stato insignito nel 1740. La documentazione iconografica sul principe di Sansevero è stata di recente arricchita dal Ritratto di Raimondo di Sangro di Francesco De Mura, esposto per la prima volta nel 2009 in occasione della mostra Ritorno al Barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli. L’opera, acquisita dal Museo Cappella Sansevero nel 2019, è attualmente visibile in sacrestia.

  • Ritratto Vincenzo di Sangro

    Ritratto di Vincenzo di Sangro

    Carlo Amalfi, anni ’70 del XVIII sec. (?)

    Posto sulla “porta piccola” del tempio, il Ritratto di Vincenzo di Sangro è stato a lungo ritenuto un’immagine del principe Raimondo. Fonti e documenti non lasciano dubbi sul fatto che il dipinto, eseguito dal sorrentino Carlo Amalfi, ritragga invece il figlio primogenito di Raimondo, nato nel 1743. Se l’urna e l’apparato decorativo in cui è inserito il quadro furono realizzati prima del 1766, più incerta è la data d’esecuzione del ritratto, per il quale alcuni critici pensano alla metà degli anni ’70.
    Trafugato durante i lavori di restauro del 1990, il quadro è stato recuperato nel luglio del 1991 e ricollocato a suo luogo.

    Con questo olio su rame l’Amalfi, che già aveva dipinto il Ritratto di Raimondo di Sangro, si dimostra abile ritrattista. Vincenzo è rappresentato di trequarti, in redingote e parrucca; il nastro rosso marezzato, che scende trasversalmente dall’omero destro al fianco sinistro, potrebbe essere quello da cavaliere dell’Ordine di San Gennaro (il che indurrebbe a datare il quadro posteriormente al 1776, anno in cui l’ottavo principe di Sansevero fu insignito del prestigioso ordine equestre). Alla sinistra di Vincenzo si notano alcuni libri su cui è adagiato un elmo, simboli che intendono chiaramente esaltare la cultura e la virtù guerriera del soggetto.

    Il quadro poggia su una bara e sembra sorretto da tre putti, mentre altri due putti sollevano un enorme manto in stucco che fa da sfondo. Non è presente alcuna iscrizione commemorativa: ricordiamo che Vincenzo di Sangro sposò nel 1765 Gaetana Mirelli di Teora, fu gentiluomo di camera di Ferdinando IV dal 1772 e – come detto – cavaliere dell’Ordine di San Gennaro, intraprese una brillante carriera nelle Armi borboniche fino a divenire generale. Erede universale dei beni paterni, non portò a termine i lavori della Cappella rimasti incompiuti alla morte di Raimondo, probabilmente per ristrettezze economiche.

    Sebbene già la Descrizione della Città di Napoli di Giuseppe Sigismondo (1789) identificasse correttamente nel soggetto ritratto il principe Vincenzo, ancora per tutto il XIX sec. i più pensarono si trattasse di Raimondo di Sangro. Per tale motivo dal dipinto sono state liberamente tratte alcune stampe raffiguranti il settimo principe di Sansevero.

  • dipinto Madonna con bambino

    Madonna con Bambino

    Giuseppe Pesce, 1757

    Il dipinto, datato e firmato dal romano Giuseppe Pesce, fu realizzato nel 1757 per conto di Raimondo di Sangro, che ne fece dono a Carlo di Borbone. Di questa Madonna con Bambino si erano per secoli perse le tracce, finché nel 2005 l’attuale proprietà della Cappella Sansevero non lo ha reperito e acquisito per esporlo nella Sagrestia.

    Pesce, artista che a Napoli si era distinto per alcuni affreschi nella Chiesa di Santa Chiara (andati distrutti durante i bombardamenti del 1943), esegue un quadro di pregevole fattura, utilizzando colori realizzati dallo stesso di Sangro. L’impianto compositivo è di marca classicistica, probabilmente a causa dell’origine romana del pittore; salta all’occhio la particolare vivacità della gamma cromatica, determinata dalla pittura a cera, che conferisce alla superficie l’aspetto brillante e levigato della miniatura.

    L’opera reca sul retro la dedica di Raimondo di Sangro, che sottolinea il proprio ruolo di “primo inventore” delle “cere colorate a tempera”: “All’augustissimo Carlo, re delle Due Sicilie e di Gerusalemme, infante di Spagna, duca di Parma e Piacenza, gran principe ereditario di Toscana, inclito protettore delle belle arti, suo signore, Raimondo di Sangro, principe di S. Severo, primo inventore della dipintura colle cere colorate a tempera, questo primo saggio dona, dedica e consagra”.

    Del quadro, che il sovrano conservava nei suoi appartamenti, fa menzione anche l’anonimo autore della Breve nota di quel che si vede in casa del principe di Sansevero (1766), che lo descrive “dipinto con cere colorate di una maniera più vaga e bella di quella già ritrovata dal Conte di Caylus di Parigi”. La Madonna con Bambino può portarsi a esempio dell’originale rapporto che legava il principe di Sansevero ai suoi artisti: non una semplice committenza, bensì una vera e propria collaborazione, che in alcuni casi portava gli artisti a servirsi dei ritrovati del loro mecenate.

  • dettaglio Ritratto di Raimondo di Sangro

    Ritratto di Raimondo di Sangro

    Francesco De Mura, 1745-1755 ca

    Straordinaria testimonianza dell’arte di Francesco De Mura (Napoli, 1696-1782), il dipinto presenta un Raimondo di Sangro maturo, in atteggiamento fiero e allo stesso tempo gioviale. La fascia rossa che scende dalla spalla destra e il ricco manto che avvolge la figura sono insegne dell’Ordine di San Gennaro, prestigiosa onorificenza conferita al principe nel 1740. La corazza da condottiero ricorda le glorie militari del personaggio, colonnello del Reggimento di Capitanata dal 1743 e protagonista dell’eroica battaglia di Velletri. I colori azzurro e oro dello stemma dei di Sangro si distinguono nel volant sul pettorale, che incornicia una testa leonina, particolare – quest’ultimo – presente anche nel ritratto del figlio del principe, Vincenzo, visibile nella navata della Cappella Sansevero.

    I tratti fisionomici e i segni di distinzione sociale del personaggio raffigurato hanno reso la sua identificazione con Raimondo di Sangro – proposta per la prima volta da Katia Fiorentino in occasione della mostra Ritorno al Barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli (catalogo a cura di N. Spinosa, Napoli 2009) – concordemente accettata. Come ha infatti evidenziato di recente Giuseppe Porzio, l’effigiato ha in comune con gli altri due ritratti più noti del principe di Sansevero “la medesima fronte ampia e rotonda, l’ovale perfetto del viso, gli occhi grandi e comunicativi che predominano sui restanti caratteri: naso deciso, bocca sottile e serrata, sottomento pieno. Da tutte e tre le raffigurazioni promana una dignità insieme alta e accostante” (Antichi maestri a Napoli. Dipinti del Sei e Settecento, a cura di G. Porzio, Napoli 2019).

    La vigoria pittorica del panneggio e i toni fulgidi della gamma cromatica fanno di questo olio su tela, acquisito dal Museo Cappella Sansevero nel 2019 ed esposto in sacrestia dal 2020, “uno dei vertici di eleganza e politezza formale” (ancora Porzio) raggiunti nella ritrattistica da De Mura, che già il contemporaneo Bernardo De Dominici definì “in tal arte singolarissimo”.