La cappella Sansevero
Storia

  • dettaglio pavimento Cappella Sansevero

    La leggenda
    alle origini
    della cappella

    Le origini della Cappella Sansevero sono legate a un episodio leggendario. Narra, infatti, Cesare d’Engenio Caracciolo nella Napoli Sacra del 1623 che, intorno al 1590, un uomo innocente, trascinato in catene per essere condotto in carcere, passando dinanzi al giardino del palazzo dei di Sangro in piazza San Domenico Maggiore, vide crollare una parte del muro di cinta di detto giardino e apparire un’immagine della Madonna. Egli promise alla Vergine di donarle una lampada d’argento e un’iscrizione, qualora fosse stata riconosciuta la propria innocenza: scarcerato, l’uomo tenne fede al voto. L’immagine sacra divenne allora meta di pellegrinaggio, dispensando molte altre grazie.

  • vista interna Cappella Sansevero

    Il tempio votivo

    Poco dopo, anche il duca di Torremaggiore Giovan Francesco di Sangro, gravemente ammalato, si rivolse a questa Madonna per ottenere la guarigione: miracolato, per gratitudine fece innalzare, lì dove era apparsa per la prima volta la venerabile effigie (oggi visibile in alto sull’Altare maggiore), una “picciola cappella” denominata Santa Maria della Pietà o Pietatella. Fu però il figlio di Giovan Francesco, Alessandro di Sangro patriarca di Alessandria, che intraprese nei primi anni del ’600 grandi lavori di trasformazione e ampliamento, modificando l’originario sacello in un vero e proprio tempio votivo destinato a ospitare le sepolture degli antenati e dei futuri membri della famiglia.

    Alessandro di Sangro patriarca di Alessandria destinò questo tempio, innalzato dalle fondamenta alla Beata Vergine, a sepolcro per sé e per i suoi nell’anno del Signore 1613

    Iscrizione posta sulla porta principale del complesso monumentale
  • Educazione- monumento paolo di Sangro VI principe di Sansevero - Dominio di se stessi

    Lo scrigno
    d’arte voluto
    da Raimondo

    Della fase seicentesca della Cappella Sansevero sono rimaste pressoché inalterate solo le dimensioni perimetrali e la snella architettura dell’insieme, nonché la decorazione policroma dell’abside; sono ancora visibili, inoltre, quattro mausolei nelle cappellette laterali, mentre altri di cui si ha notizia sono stati rimossi. L’attuale assetto della Cappella e la quasi totalità delle opere in essa contenute, infatti, sono frutto della volontà di Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, che a partire dagli anni ’40 del ’700 riorganizzò la Cappella secondo criteri del tutto nuovi e personali.

    Benché molti particolari dell’aspetto seicentesco del tempio gentilizio ci sfuggano, è certo che già allora esso dovette essere uno scrigno d’arte: lo testimonia, tra gli altri, la Guida di Napoli di Pompeo Sarnelli (1685), che definì la cappella dei di Sangro “grandemente abbellita con lavori di finissimi marmi, intorno alla quale sono le statue di molti degni personaggi di essa famiglia co’ loro elogi”. Quel che è sopravvissuto delle opere seicentesche conferma sostanzialmente tale impressione, anche se la magnificenza dei lavori settecenteschi mette in ombra quanto eseguito prima dell’attività mecenatesca di Raimondo di Sangro.

    Sin dalle origini, dunque, la Cappella è circonfusa di un alone leggendario: il racconto di d’Engenio Caracciolo è certamente intessuto con particolari fantasiosi, ma la suggestione resta. Il ruolo avuto da Alessandro di Sangro nelle vicende edificatorie della Cappella Sansevero, peraltro, è confermato – oltre che da diverse testimonianze d’archivio – dall’iscrizione posta sulla porta principale del complesso monumentale, che recita: “Alessandro di Sangro patriarca di Alessandria destinò questo tempio, innalzato dalle fondamenta alla Beata Vergine, a sepolcro per sé e per i suoi nell’anno del Signore 1613”.

     

  • dettaglio cristo velato

    Fasto settecentesco

    La sistemazione seicentesca della Cappella rimase inalterata fino agli anni ’40 del ’700, quando pose mano all’ampliamento e all’arricchimento del tempio Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero. Seguì un periodo di grande fervore, in cui egli profuse nell’impresa forze e sostanze, impegnandosi con entusiasmo e competenza, chiamando presso di sé pittori e scultori rinomati, sovrintendendo personalmente alle fasi di lavorazione, scegliendo e talvolta realizzando i materiali. L’idea era quella di farne un tempio maestoso, degno della grandezza del casato, arricchendolo di opere di altissimo pregio pur senza alterare la primitiva struttura e cercando nel nuovo assetto l’idonea collocazione per i mausolei preesistenti. Fu così che vennero alla luce opere come la Gloria del Paradiso, la Pudicizia e le altre statue delle Virtù, il Cristo velato.

  • dettaglio soffitto con affresco

    Un mecenate
    generoso ed
    esigentissimo

    La complessa personalità, la cultura cosmopolita, la genialità di inventore, gli studi alchemico-scientifici, la militanza massonica, il sentimento radicato della storia fecero di Raimondo di Sangro un mecenate generoso, ma esigentissimo: ogni singola opera, infatti, doveva svolgere una funzione insostituibile nel progetto iconografico complessivo da lui immaginato, e ignoto probabilmente agli stessi artisti. È per tale motivo che nella Cappella Sansevero, come mai in altro monumento, si avverte la presenza di una committenza che, sovrastando a tratti ogni singola presenza artistica, autorevolmente si impone infondendo energia, coerenza, suggestione, respiro europeo all’intero complesso.

    Il principe di Sansevero mantenne a grandi linee la semplice struttura architettonica della fase seicentesca. La Cappella presenta un’unica navata a pianta longitudinale con quattro archi a tutto sesto per lato; il cornicione, costruito con un mastice di invenzione del di Sangro, corre lungo tutto il perimetro al di sopra degli archi. La volta a botte è interrotta da sei finestre strombate che illuminano l’intera Cappella; all’altezza dell’abside, poi, si può ammirare il gioco illusionistico di una finta cupoletta.

  • dettaglio Pavimento labirintico

    La storia del
    pavimento
    della cappella

    Nel 1901 fu completata la pavimentazione in cotto napoletano, smaltato in giallo e azzurro – colori del casato di Sangro – in corrispondenza dello stemma gentilizio. Il bellissimo pavimento settecentesco, con l’enigmatico motivo a labirinto, realizzato con un sistema inventato anch’esso dal principe, andò distrutto alla fine del XIX sec.: è possibile oggi vederne un campione nel passetto antistante la tomba di Raimondo di Sangro. Da tale passetto si accede sulla sinistra a una scala che conduce alla Cavea sotterranea, che il principe ideò ma non fece in tempo a vedere terminata.

    Infine, sulla porta laterale, risalente al periodo settecentesco, si può leggere una lunga ed eloquente iscrizione:

    Chiunque tu sia, o viandante, cittadino, provinciale o straniero, entra e devotamente rendi omaggio alla prodigiosa antica opera: il tempio gentilizio consacrato da tempo alla Vergine e maestosamente amplificato dall’ardente principe di Sansevero don Raimondo di Sangro per la gloria degli avi e per conservare all’immortalità le sue ceneri e quelle dei suoi nell’anno 1767. Osserva con occhi attenti e con venerazione le urne degli eroi onuste di gloria e contempla con meraviglia il pregevole ossequio all’opera divina e i sepolcri dei defunti, e quando avrai reso gli onori dovuti profondamente rifletti e allontanati

    (trad. it. di Maria Alessandra Cecaro)